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La marea bianca dei granuli di microplastica ha raggiunto i Paesi Baschi: il video

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L’8 dicembre, la nave Toconao, battente bandiera liberiana, al largo delle coste portoghesi di Viana do Castelo, ha perso un container che trasportava 1.050 sacchi da 25 chili di contenenti ognuno milioni di granuli di plastica inferiori a 5 millimetri (pellet) che continuano ad arrivare sulle coste della Galizia e hanno già raggiunto la costa cantabrica e i Paesi Baschi sono in stato di pre-allerta e hanno già attivato i loro piani di emergenza.

Il primo posto in cui sono stati rilevati i micro-granuli è stato sulla costa di Capo Corrubedo, dove un albergatore, aveva raccolto dozzine di sacchi di pellet lungo la costa e aveva allertato il 112 con scarso successo. La Xunta de Galicia ha attivato il Plan Territorial de Continxencias por Contaminación Mariña Accidental de Galicia (Plan Camgal) solo molti giorni dopo, nella prima settimana di gennaio, quando erano già all’opera decine di volontari autorganizzati per ripulire la costa dai pellet. Quando il disastro era ormai evidente, il 10 gennaio, la giunta di destra della Galizia ha cercato di scaricare le responsabilità del mancato intervento sul governo centrale di sinistra spagnolo che non poteva intervenire perché non era stata dichiarato il livello adeguato di emergenza.

Già il 9 gennaio Wwf, Amigos de la Tierra, Ecologistas en Acción, Greenpeace e SEO/BirdLife avevano chiesto un coordinamento tra tutte le amministrazioni pubbliche e «Misure urgenti e rigorose a causa dell’ampia dispersione di queste microplastiche e del loro potenziale impatto sulla biodiversità, soprattutto data l’esistenza di segni di tossicità, come segnalato dalla Procura ambientale».

Secondo l’esperto di microplastiche dell’Universidad de Alcalá (UAH) Roberto Rosal, i pellet spiaggiati sono costituiti da poliolefina, e «Non dovrebbero presentare un rischio tossico, anche considerando che potrebbe contenere determinate quantità di additivi. Non mi aspetterei un rischio significativo né per gli ecosistemi né per la salute umana, tenendo conto che il volume della fuoriuscita è relativamente piccolo rispetto ad altre fonti di emissioni di plastica o microplastica nell’ambiente. Si tratta di materiali molto inerti, quindi nel medio e lungo termine il materiale sversato rimarrà nell’ambiente, probabilmente per decenni o centinaia di anni. Queste piccole palline, che sono sfere di qualche millimetro di diametro, finiranno per essere colonizzate dai microrganismi, alcune affonderanno nella colonna d’acqua, andranno sul fondo, altre galleggeranno e si depositeranno sulle spiagge… Quindi, dovremo convivere con loro per molto tempo, proprio come facciamo con molte altre materie plastiche».

Ma lo stesso Rosal fa presente che queste microplastiche «Sono un materiale che depositiamo nell’ambiente in modo incontrollato e, talvolta, irresponsabile. Dobbiamo tener conto dei possibili effetti che potrebbero avere, non solo tossici a breve termine, ma anche a lungo termine o anche per l’estetica dell’ambiente, perché sono uno dei pochi inquinanti che possiamo vedere con l’occhio nudo».

Il suo Grupo de investigación en Ingeniería Química y Ambiental ha effettuato la caratterizzazione delle microplastiche negli ambienti più diversi: nell’acqua – acquedottistica e imbottigliata -, in diversi ambienti naturali, anche in aree a protezione integrale, ecc. Un lavoro che si concentra sull’effetto dei piccoli frammenti che possono essere prodotti dalla degradazione delle microplastiche, le nano-plastiche che hanno una dimensione oltre la quale non sono più visibili e analizzabili de che «A quel punto si possono produrre piccoli frammenti che generano una vera e propria tossicità chimica negli organismi o addirittura che possono colpire l’uomo».

La crisi in Galizia e sulla costa nord spagnola non è finita e anche tra sabato e domenica scorse un centinaio di persone, coordinate dal comune di Ribeira e in collaborazione con Greenpeace España sono intervenute in quello che è ritenuto il ground zero della crisi del pellet per raccogliere parte dei milioni di microplastiche che continuano ad accumularsi sulle spiagge I volontari si sono concentrati sulle spiagge di Balieiros e As Barreiras, dove da giovedì sono arrivate grandi quantità di pellet che sta inquinando una lunga distesa di sabbia e una sensibile fascia dunale che fanno parte della rete Natura 2000 della Galizia, la più piccola dello Stato con solo il 12% della superficie comunitaria.

Greenpeace España denuncia che «L’arrivo di milioni di granuli di plastica sulle coste galiziane sta generando un dramma ambientale di notevoli proporzioni e ha evidenziato la scarsa efficacia dei piani antinquinamento nel dare una risposta rapida. La mancanza di coordinamento tra le amministrazioni ha richiesto ancora una volta, come già accaduto nella crisi della Prestige, che la società civile organizzata si impegnasse a pulire la costa senza le necessarie istruzioni e protocolli di sicurezza e pulizia, che la Xunta de Galicia ha reso pubblici solo il 10 gennaio sul sito Camgal».

Di fronte a questa nuova crisi sulle coste spagnole, Wwf, Amigos de la Tierra, Ecologistas en Acción, Greenpeace e SEO/BirdLife avanzano 5 richieste fondamentali:

1) La priorità deve essere la collaborazione tra le amministrazioni a tutti i livelli, così come l’applicazione dei protocolli antinquinamento, che non possono dipendere esclusivamente da una decisione politica. Occorre formare un comitato tecnico-scientifico che, sulla base dei dati, prenda le decisioni migliori per evitare di ingigantire questi disastri ambientali.
2) Coordinamento delle raccolte da parte dei Consigli. La generosità dei volontari che svolgono lavori di pulizia deve essere coordinata dalle amministrazioni locali per garantire che dispongano dei mezzi necessari e adeguati e che i rifiuti vengano smaltiti correttamente.
3) Maggiore trasparenza e informazione per conoscere sia la composizione che la tossicità e pericolosità del pellet. Greenpeace ha raccolto campioni che verranno analizzati dalla sua unità scientifica a Exeter (Regno Unito).
4) Sostenere chiaramente il Trattato Globale sulla Plastica, un’opportunità unica per risolvere il problema della produzione e dell’uso incontrollato della plastica e risolvere il problema dell’inquinamento che causano. Grazie al Trattato, entro il 2040 deve essere raggiunta una riduzione della produzione di plastica di almeno il 75%. Se l’industria riuscisse a farcela, la produzione di plastica potrebbe raddoppiare nei prossimi 10-15 anni e triplicare entro il 2050.
5) Chiarire le responsabilità di questo crimine ambientale. La compagnia di navigazione proprietaria della nave portacontainer Toconao deve, come minimo, coprire i costi di pulizia e ripristino».

A cura di GreeReport.it

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